Dall'uso delle vesti e dall'abitudine a nascondere i genitali alla ricerca di luoghi ed occasioni riservate per esercitare l'attività ed il rapporto sessuale il passo - sempre in termini di millenni - può essere stato breve: quanto meno logico. Perché far vedere le parti del corpo, che la donna desiderava tener celate a tutti, in occasione dell'amplesso? E perché il maschio doveva esibire la propria femmina a tutti, se poi ne temeva, gelosamente, le insidie? Ecco allora derivare la convenienza utilitaristica (non morale) di limitare l'amplesso a momenti di solitudine, a luoghi riservati, al buio della notte.
Un altro fattore deve avere avuto una certa importanza: la presenza del figlio nato da una coppia.
Nei tempi più lontani non esisteva il problema della paternità: il bimbo nasceva ignorato dal padre (anche perché ignorato era il rapporto tra coito e gravidanza). Quando invece i legami sessuali raggiunsero una certa durata - pur nelle mancate conoscenze del significato biologico dell’accoppiamento - i figli dovettero suscitare sentimenti di dolcezza ed affetto, che aumentarono il legame fra i genitori e favorirono la formazione della famiglia. Qui si è cercato - per evidenti ragioni di sintesi - di delineare schematicamente il processo di sviluppo e di evoluzione sociale della sessualità; è certo però che, nella realtà, le cose sono andate in modo differente, con periodi di progresso ed altri di regresso, con un andamento pieno di contraddizioni. E tutto ciò non solo per il sovrapporsi ad una civiltà di un certo grado e tipo, di un'altra, vincitrice magari di una guerra, ma anche per un'infinità di condizionamenti ambientali, fisici (clima, alimentazione, ecc.), psicologici e religiosi. Tali contraddizioni e regressioni sono continuate nel tempo, sino ai nostri giorni. Grosse modificazioni si sono certo avute nel passaggio dalla società matriarcale a quella patriarcale e viceversa e, ancora, nello sviluppo della famiglia, allorchè l'amore istintuale del padre verso i figli da indifferenziato si fece specifico, rivolgendosi in particolare ai figli maschi e corrompendosi per l'intrusione di elementi economici, quali le questioni della eredità, che ponevano appunto i figli maschi in una particolare condizione di superiorità. Ad un certo momento, anche la donna avrà iniziato a selezionare meglio i criteri della scelta del compagno, nel tentativo di accaparrarsi non più solo un maschio sessualmente valido e capace, ma un uomo migliore dal punto di vista della sua potenza sociale ed economica: a tale fine avrà fatto ricorso a nuovi modi di seduzione.
L'uomo preistorico di trentamila anni fa aveva molto probabilmente già varcato la linea di demarcazione tra sessualità animale e sessualità umana. Sentiva un certo rispetto per la femmina e amore per i figli; aveva una famiglia basata su qualche regola che evitava un'eccessiva promiscuità sessuale. Dalle più antiche raffigurazioni artistiche si trae l'impressione che la coppia non doveva però essere il nucleo familiare di base (ciò dovrebbe escludere la monogamia) mentre risulta chiara la devozione che l'uomo ha per la donna. Nell'ultimo periodo glaciale (15-20 mila anni fa) risulterebbero già abbastanza ben differenziati i ruoli sessuali: l'uomo va a caccia, la donna sta a casa; l'uomo garantisce il sostentamento del gruppo, più che della sola famiglia, andando a caccia in gruppo, e la donna, pur curando i propri piccoli, vive e lavora non per la sua sola famiglia ma anche essa per l'intero gruppo. Alla fine dell'ultima glaciazione (810 mila anni fa) la socializzazione dell'uomo (ormai un homo sapiens del tutto simile all'attuale) è completa, ma soprattutto la coscienza e la possibilità di capire, e a volte dominare, i fenomeni della natura offre nuove possibilità. E' anche del tutto probabile che nell'epoca in cui da nomade si fece stanziale, ed alla caccia sostituì l'allevamento e la coltivazione, l'uomo abbia preso coscienza anche del rapporto esistente tra attività genitale e riproduzione. Probabilmente quest'epoca fu dominata dalle donne (che gli uomini in fondo imitavano cessando di cacciare e dedicandosi ai lavori stabili dei campi, vicino alla casa) e basata sul matriarcato. A questo ha poi fatto seguito una fase patriarcale, promossa dallo stabilirsi di nuove condizioni di vita tribale, caratterizzata dalla proprietà dei beni, nonché delle donne e dei figli. In questo periodo postglaciale, sino all'arrivo dell’era storicamente (almeno in parte) controllata (3-4000 anni a.C.), lo sviluppo dell'organizzazione familiare passò probabilmente attraverso tre stadi differenti. Un primo monogamico naturale (conseguente alla ‘scoperta’ della maggior soddisfazione affettiva e sessuale nell'esercizio del sesso all'interno della coppia); un secondo poliandrico e poligamico (dovuto all'improvvisa esplosione demografica ed alla costituzione dei primi gruppi tribali, regolati da norme riguardanti i componenti); un terzo fondamentalmente monogamico, istituzionalizzato però come regola introdotta nell'interesse stesso del gruppo, che dalla poligamia e dalla poliandria aveva visto incrementare le occasioni di liti e contrasti interni, per gelosia. Alla fine della preistoria i popoli presentano già divisioni sociali in classi: la superiore - ricca, potente e autoritaria - da un punto di vista sessuale è anche la più libera; essa concede maggior potere al maschio, importante non solo politicamente ma anche nella famiglia per i diritti di successione. L'altra classe, quella inferiore - povera e sottomessa - presenta invece una maggior parità di diritti fra i due sessi, ed a volte una minor libertà sessuale. Una certa poligamia risulterebbe presente nella classe più elevata, mentre sarebbe mancata in quella più bassa, per la quale libertà e poligamia sono troppo onerose. Tale divisione sociale manterrà pressoché inalterati taluni suoi fondamentali caratteri quasi sino ai nostri giorni. Le cose, almeno in un primo tempo, non mutarono di molto con lo avvento dell'epoca storica, cioè del periodo in cui ogni importante avvenimento politico, ogni grande fenomeno economico e sociale possono essere provati con documentazioni di una certa sicurezza. Una particolarità risulta tuttavia presente nell'antico Egitto, allora società matriarcale, caratterizzata dalla trasmissione ereditaria dei poteri politici, della nobiltà e dei beni per linea femminile: è l'assenza di qualsiasi condanna dell'incesto. Anzi, specie tra i potenti, l'unione ideale è la coppia fraterna: le sorelle che sposano cioè i propri fratelli. Modificazioni radicali, in questo antico e civile paese, avvennero più tardi, dapprima con un'opposizione dei capi militari al potere politico e religioso delle donne, e successivamente con una vera e propria rivoluzione sociale (2000 a.C.), grazie alla quale le classi più povere acquisirono taluni diritti, fra i quali quello del matrimonio, fino ad allora riconosciuto solo ai ceti più ricchi. Da rilevare infine che presso gli Egizi (e quindi prima che in Israele) si usava praticare la circoncisione. come cerimonia d'iniziazione.
Presso la civiltà babilonese (2000 a.C.) esisteva una precisa regolamentazione della famiglia. Il matrimonio era monogamico, pur essendo legale tenere delle concubine in casa. Analoghi gli usi presso il popolo di Israele, ove il matrimonio era finalizzato alla procreazione, tanto è vero che se risultava sterile poteva essere sciolto. Questa civiltà ammetteva e regolava l'incesto, vietava le relazioni adulterine, riconosceva la prostituzione. Nell'antica India, la fedeltà della donna al marito era assoluta, tanto che la tradizione prevedeva il sacrificio della moglie sopravvissuta alla morte del suo compagno; l'incesto era rigorosamente vietato.
Nella civiltà greca, la sessualità, da un punto di vista sociologico, non era ben definibile. Ciò non solo per le naturali differenze esistenti in singoli periodi o città (Sparta autoritaria e sessuo-negativa, Atene democratica e piuttosto libera) né per i contrasti tra la realtà e la leggenda o la mitologia (nella letteratura l'esercizio dell'attività sessuale era assolutamente libero ed anzi esaltato), ma soprattutto per una certa diffusa libertà di comportamento. La famiglia era tuttavia una comunità di valore economico e sociale; le donne facevano vita piuttosto ritirata; il matrimonio sanciva dei diritti e non dei sentimenti né delle esigenze sessuali (che si potevano soddisfare liberamente con prostitute). L'omosessualità sia maschile che femminile, era accettata ed anche largamente praticata.
A Roma, società dapprima agricola e militare, gli uomini, lavoratori e soldati, avevano assai più diritti delle donne e il matrimonio era una sorta di semplice iniziazione sessuale. Più tardi, riconosciuta alle donne una migliore posizione (per motivi essenzialmente economici, derivanti dall’istituzione della dote portata a1 marito dalla sposa) il matrimonio viene istituzionalizzato, e poi riconosciuto come base fondamentale della società. Tuttavia la separazione è consentita, prevista e regolamentata; le relazioni adulterine, sia maschili che femminili, severamente represse. Col tempo si verifica anche a Roma, come in Grecia, una certa separazione tra la ricerca del piacere sessuale (fiorisce infatti la prostituzione) e l'amore coniugale, almeno tra i potenti e i ricchi, in grado di pagarsi ogni soddisfazione erotica.
La predicazione e le proposte cristiane arrivano a Roma in un periodo di travaglio politico e sociale, in cui vi è una esaltazione di tutte le filosofie più materialistiche ed edonistiche basate sul godimento di beni terrestri, sul piacere sessuale, su certa elasticità morale. Il contrasto è ovviamente molto aspro, poiché il senso comune del romano medio non solo respinge la nuova fede che si basa sulla rinuncia dei beni terrestri, sulla esaltazione della povertà, sulla necessità di una vita d'amore, ma si oppone con la violenza all'ipotesi di una negazione di quei valori e di quelle tradizioni che avevano fatto grande e potente Roma. La reazione si aggrava poi allorché la predicazione cristiana accentua il suo ascetismo, sostenendo la castità e la indissolubilità del matrimonio (norme che in verità escono più che dalla predicazione di Cristo, da quella di taluni degli apostoli suoi seguaci), e condannando l'amore carnale come peccato. Il cristianesimo ha posto assai presto il problema di una rigida condotta sessuale, quasi cercando di fondare buona parte della sua autorità sulla calcolata produzione di uno stato d'ansia sessuale. Per quanto il cristianesimo possa avere contribuito allo sviluppo sociale e culturale, la sua influenza sul comportamento sessuale dell'uomo è stata fondamentalmente negativa, avendo da un lato assimilato, col passare del tempo, gli elementi più autoritari dal giudaismo e dai romani. Nel corso dei secoli ha poi spesso accentuato la sua posizione sesso-repressiva e offerto un valido supporto alle più conservatrici ed antiliberali tesi della società capitalistica.
Scarse sono le conoscenze riguardanti il comportamento sessuale nel Medio Evo: anche da questo punto di vista si tratta di secoli oscuri, come per una serie di altre attività umane, artistiche o scientifiche. Si sa che la medicina studia, tra l'altro, i problemi posti dalla sterilità femminile e dall'impotenza maschile. Ma il dato più grave è che si diffondono convenzioni chiaramente sesso-repressive, come la castità dei preti decisa nel VII secolo, ma restata assai poco praticata sino ai decreti di Leone IX (metà dell'XI secolo) e come la condanna d'ogni rapporto sessuale fuori del matrimonio o non specificamente ed esclusivamente rivolto alta procreazione.
In contrasto con tali principi, la vita sessuale doveva però essere piuttosto libertina, almeno presso le classi nobili, se è vero, che nudità e prostituzione non sono oggetto di divieti e che si impose nella società feudale il “Jus primae noctis”, cioè il diritto per il nobile di togliere la verginità alle spose dei propri sudditi.